Luoghi di Interesse Culturale

Il territorio di Grezzana fu frequentato dall’uomo (Homo erectus) a iniziare da 300.000 anni fa. Molti sono i luoghi di interesse culturale che possiamo ammirare in questo territorio.

Riparo Tagliente

Il Riparo Tagliente, che prende il nome dal Sig. Tagliente che lo segnalò nel 1958, fu frequentato per lungo tempo. Si tratta di un riparo sottoroccia, oggi zona archeologica con scavi ancora in corso. Gli uomini che frequentarono il riparo Tagliente cacciavano soprattutto erbivori, come lo stambecco, il camoscio e il cervo, ma non disegnavano di uccidere animali di stazza più elevata come i mammut, come testimoniano frammenti di denti di tale animale rinvenuti in loco. Gli uomini che continuarono a frequentare il territorio di Stallavena nel Paleolitico superiore (dal 35.000 a.C. al 10.000 a.C.) erano del tipo Homo sapiens sapiens. Oltre alla caccia, si dedicavano alla lavorazione della selce e della pelle, ricavandone rudimentali abiti. Andavano inoltre a procurarsi materiale utile alla propria attività anche in zone “lontane”: a riparo Tagliente sono state recuperate conchiglie marine, probabilmente prelevate dall’Adriatico, cristallo di rocca e ocra gialla forse provenienti da Ponte Veia.

Molto probabilmente credevano nella vita dopo la morte, come dimostra la sepoltura di un adulto, collocato supino, con le braccia allungate parallelamente al tronco ricoperto di pietre.

Su queste pietre vi erano incisi dei graffiti, quasi certamente un felino e il profilo di un Uro (un grosso bovino estinto successivamente).

Nel Riparo sono stati rinvenuti ossi con incisioni e ciottoli con raffigurazioni di animali di precisione e bellezza ammirevoli.

L’accesso al Riparo è possibile in occasione delle campagne di scavo, curate dall’Università di Ferrara.

Campagne di Lugo

La storia del sito neolitico di «Campagne di Lugo» iniziò in un fine settimana del 1990 quando ci si apprestava a scavare per uno nuovo capannone. Già dai primissimi rilievi della stratigrafia fu chiaro che i reperti emersi erano riferibili al Neolitico antico, cioè ai primi agricoltori giunti nei Lessini magari risalendo, dalla riva sinistra dell’Adige, la Val Pantena.

Fra i primi reperti, la presenza di alcuni ciottoletti di porfido atesini usurati da intensa percussione suggeriva l’interesse principale di quel gruppo: la ricerca della selce !

Gli scavi seguenti (1990-2005)  dell’Università di Trento rivelarono che si trattava di un vero e proprio villaggio (datato 7300 – 4730 anni fa circa) , recintato da una palizzata che aveva incluso capanne, focolari e aree di lavorazione della selce.

La complessità «etnica» del sito è documentata da alcune asce levigate, prodotte con pietre «importate» dal Piemonte, ma anche dalla presenza di vasellame tipico di «etnie» padane e adriatiche.
Era un «villaggio» di specialisti connessi ad una rete di scambi estesa a gran parte della pianura padana e atesina, con punte più meridionali.

La tipologia di una parte dei vasi rinvenuti suggerisce contatti con i gruppi neolitici della pianura mantovana (facies Vho), modenese (facies Fiorano) e persino della costa abruzzese (facies di Catignano).

I cereali coltivati erano orzo e farro, inoltre venivano sicuramente raccolte nocciole e ghiande.

Gli scarsi resti faunistici conservati indicano più allevamento (bovini, caprovini e rari maiali domestici) che caccia.

La quantità e la «artigianalità» dei manufatti, ma anche  l’aver posizionato il sito su un conoide allora in prevalenza ghiaioso (perciò inadatto ai coltivi del primo Neolitico) confermano che si trattava di una comunità specializzata nella ricerca della selce, per produrre «in serie» lame e nuclei da «esportare» su distanze medio-lunghe.

 

Vajo del Paradiso

Si tratta di uno speciale micro-ambiente, i cui elementi sono determinati in gran parte dalle caratteristiche dei diversi tipi di rocce che affiorano sui due versanti: dai calcari di base si estraeva la lignite, un carbone povero, mentre nella parte alta il naturale deflusso delle acque permetteva di far funzionare alcuni mulini. L’acqua che metteva in movimento le loro ruote nasceva dal Monte Santa Viola e dalla sorgente della costa immediatamente a nord del paese di Azzago.

Gli strati rocciosi del “Rosso ammonitico” della valle non solo restituiscono i tipici fossili marini, ma hanno anche determinato, col loro differente grado di erosione, la formazione di alte cenge, alla cui base corrono sentieri rocciosi e in cui si aprono grotte e ripari, ambienti spesso così asciutti e ben esposti da essere risultati utili per attività pastorali storiche. Su queste pareti sono conservate anche rare pitture rupestri, di difficile attribuzione, dal Neolitico ai tempi proto-storici, se non addirittura a manifestazioni religiose paleocristiane (forse sono espressioni artistiche di eremiti nei primi secoli dell’era cristiana o in epoca alto-medioevale).  Con la loro forma geometrica molto stilizzata rappresentano allusivamente figure umane singole o in gruppo.

Gli strati inferiori (Calcari grigi) hanno restituito numerosi esemplari di flora fossile, mentre al di sopra delle cenge sono diffuse tracce di frequentazioni durante la Preistoria recente (circa 2000-1500 a.C.); la selce, sia per strumenti litici preistorici che per le pietre focaie storiche, era fornita dagli strati di roccia più alti (Calcare Biancone) affiorati sopra i bordi della valle. Non mancano infine persino fossili del Quaternario, come i frammenti di zanne di elefante rinvenuti nei riempimenti delle fessure naturali della roccia in una vecchia cava (loc.Magnavacca).